C. mi chiama perché la moglie, che è venuta a conoscenza del servizio, lo invita a prendere i contatti con noi. Lui accetta anche se fin dal primo contatto telefonico mi dice che non è convinto ma lo fa per lei.
Il giorno del primo colloquio si presenta puntuale, è un uomo alto e abbastanza robusto, e mi ripete subito che non è convinto di questa soluzione ma dato che hanno provato tante cose senza risultati- e lui non vuole perdere sua moglie- ha deciso di provare anche questa. Mi racconta che la relazione con sua moglie ha iniziato ad andare male subito dopo la nascita del loro primo figlio, mi dice che hanno iniziato a non capirsi, che lei è cambiata e che nonostante tutti i suoi sforzi per far andare bene le cose non c’è stato nulla da fare. C. Tende ad attribuire molte colpe a sua moglie e fa fatica a individuare quali sono state le sue responsabilità in tutti questi anni. Durante i primi colloqui di valutazione, quando facciamo la rilevazione dei comportamenti violenti, utilizzando un’apposita check list, lui appare spesso sorpreso e in diverse occasioni mi chiede “Ma questa è violenza?” Un altro aspetto che emerge ripercorrendo gli episodi di violenza avvenuti negli anni è la grande difficoltà di C. di mettersi nei panni della moglie, di capire i suoi bisogni, di capire quello che lei stava provando e di leggere invece i comportamenti della moglie come attacchi rivolti a lui.
C. inizialmente dice di non essere preoccupato della relazione con suo figlio ma nel corso dei colloqui successivi emerge che in molti momenti ha fatto fatica a capire quale era il modo giusto per avvicinarsi e stare con lui.
Nel raccontarmi la sua storia di figlio mi parla di un padre molto assente, che lavorava molto e che anche il tempo libero lo passava volentieri fuori casa con i suoi amici. La madre lo ha accudito poco perché è tornata a lavorare quando lui aveva solo tre mesi affidandolo ad una zia e che negli anni si è sempre occupata poco dei figli. Condivido con C. che questo ci aiuta a comprendere i suoi comportamenti ma non li giustifica.
Dopo diversi mesi parlando della sua rabbia dice che aumenta molto quando è preoccupato e quando pensa di non avere il controllo della situazione, me ne parla perché la settimana precedente ha avuto un forte litigio con la moglie e l’ha spintonata; ciò che ha innescato la violenza è proprio la sua paura quando non sa dove e con chi è la moglie.
Attualmente C. dice di stare meglio, di aver capito che frequentare il servizio per lui è un modo per capire e evitare di agire violenza, un fattore protettivo possiamo dire, anche se spesso si rende conto di essere squalificante con la moglie e quindi di agire ancora violenza psicologica. C. ha inoltre iniziato a frequentare altri gruppi legati ai suoi hobby nel tempo libero e questo è un altro fattore protettivo.
La violenza fisica sta pian piano uscendo dalla vita di C. e della moglie e questo è il nostro primo obiettivo. Adesso dobbiamo lavorare sugli altri e aiutare C. ad evitare anche le occasioni in cui agisce violenza psicologica e a ricostruirsi come uomo, marito e padre migliore.